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Estratto COME UN CIELO SENZA NUVOLE

Boston era incredibilmente fredda quella mattina, nonostante un sole tiepido illuminasse le sue strade trafficate.

A ogni angolo si potevano scorgere abeti agghindati da luci colorate, nelle vetrine dei negozi scintillavano abiti di stagione.

L’inverno era alle porte e con esso l’avvento del Natale. Gente in festa invadeva i marciapiedi, già in preda alla mania dell’acquisto compulsivo dei regali. O, forse, era solo Boston a essere così trafficata.

Era definita da sempre la più europea delle città americane e tutte le case di mattoncini rossi, come le tipiche abitazioni inglesi che avevo scorto dal finestrino durante il tragitto, ne erano la testimonianza. I pub, le sale da tè, ogni costruzione ricordava l’Inghilterra che avevo avuto modo di vedere solo da una delle tante riviste della nonna o su quei siti di fotografia su cui smanettavo giorno e notte.

Era nella mia piccola camera, nella campagna del Maine, che avevo scoperto e inseguito la passione per la fotografia, la stessa che mi aveva portata a chilometri di distanza da casa e dai nonni Wilcott.

Boston, oltre a essere una perfetta miscela di antico e moderno coi romantici vicoli di ciottoli, gli edifici storici, le chiese e i parchi spaziosi, aveva il vanto di custodire nel suo centro pulsante il college di Harvard. Lo stesso in cui avevo fatto richiesta di iscrizione al corso di Fotocamera computazionale e fotografia.

«Miss Bishop, siamo arrivati a destinazione».

Alzai lo sguardo puntandolo sul tassista. Era un uomo dal volto tondo e due occhi piccoli e neri che mi sorrideva cordiale dallo specchietto retrovisore.

Ero arrivata a destinazione. Nel quartiere più regale di Boston. Beacon Hill era la mia nuova dimora.

«Merda!».

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